Riflessioni, informazioni utili e consigli concreti per favorire il benessere psicologico della persona!
La mia giornata inizia sempre con la musica ed io v’invito ad ascoltare canzoni, contattarle e farle vostre perché vi permettano di emozionarvi ed energizzarvi.
Oggi è così:
“Il mondo dietro ai vetri sembra un film senza sonoro….Soli con il tempo che si è fermato…..è inutile suonare qui non aprirà nessuno (Soli-Adriano Celentano)
L’attivazione dei sensi ci permette di vivere il qui ed ora senza che la mente vaghi inutilmente in congetture e false previsioni che attivano paure e ansie.
Lasciamo che la musica non sia solo un riempitivo, un rumore di fondo, ma diamogli il giusto valore perché ci permetta di emozionarci, energizzarci e dare inizio alla giornata.
La musica è poesia e la poesia è scrittura e la scrittura potrebbe aiutarci ad esternare, comunicare e ad entrare in empatia con noi stessi svelandoci parti che non riuscivamo o non volevamo vedere, in questo momento privo di relazioni sociali, non possiamo nasconderci, siamo soli con noi stessi……….. è il nostro momento.
Dalla scrittura alla lettura, perché no, immergiamoci nell’odore dei nostri libri, sentiamone il contatto, entriamo nelle storie e immedesimiamoci nei personaggi con il corpo e con il cuore, questo ci restituisce movimento e vibrazione emotiva.
CORONAVIRUS
Il coronavirus (SARS-Cov-2) ha cambiato la nostra condizione da individui “liberi”, o presunti tali, a “prigionieri” in isolamento forzato, producendo cambiamenti destabilizzanti…..ma chi ci dice che la vera libertà non possiamo trovarle in questo momento di “costrizione” forzata? Misure di sicurezza che inducono ansia( per quanto riguarda paura, ansia e panico vi rimando al mio articolo: https://www.filomenasimone.it/blog/la-paura-della-paura-limita-la-liberta-impariamo-a-volare.html) cambiamenti nella gestione del tempo e dello spazio, privazione delle relazioni sociali, sogni interrotti, desideri bloccati, futuro incerto, ma da questa “guerra” ne dobbiamo uscire vincenti, realmente liberi e ritrovare le nostre forze e la nostra vitalità oramai sopiti e annientati dalle abitudini della quotidianità……non avevamo il tempo per incontrarci e riflettere su noi stessi, ascoltarci realmente, fermarci e respirare.
Un cambiamento improvviso, che ci ha catapultati in un’altra dimensione, bene, non possiamo fare altro che reagire, troviamo il nostro spazio, il nostro tempo e ritroviamo il piacere, quel piacere essenziale per compensare il senso di vuoto e d’incertezza intorno.
Questo è il periodo del “nuovo”, siamo stati assaliti da un mostro latente, incontrollabile che è ovunque, questo ci dà la sensazione di impotenza, vulnerabilità, paura, senso di vuoto e tanto altro, come reagire?
COME REAGIRE?
Dare e fare spazio, accogliere e fare cose diverse che non avremmo mai pensato di fare nella precedente routine.
Il principio essenziale è CONCENTRARSI A FARE UNA COSA ALLA VOLTA per non disorientare i sensi e disperdere l’attenzione.
Questo ci permette di “assaporare” ed entrare in contatto con ciò che facciamo per averne piacere.
Il PIACERE è da ricercare sempre, anche e soprattutto da soli e nelle piccole cose per poi estenderlo agli altri e abbracciare piacevolmente il mondo.
Riconoscere e attivare le nostre risorse e potenzialità resilienti per fronteggiare l’invisibile nuvola che ci sta coprendo ma che noi potremmo, con il giusto tempo, spazzare e dare spazio ad un arcobaleno e ad un ventaglio di nuove possibilità.
Resilienza appunto, come la capacità di un individuo di reinventarsi per affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà.
FASI PSICO-EMOTIVE
Riassumo le varie fasi psico-emotive del covid-19 (meglio inteso come CORONA VIRUS):
-STORDIMENTO/INCREDULITA’: “non può essere!” un pericolo nascosto impercettibile ma vicinissimo tanto da non sentirlo né poterlo scansare.
-COSTRIZIONE FORZATA di isolamento e cambiamento dettato dal non poter uscire e condurre la vita di sempre.
-PRIVAZIONE della vita sociale e relazionale essenziale all’essere umano
-ACCETTAZIONE CONDIZIONATA di una serie di misure precauzionali per evitare il contagio
-ALTERAZIONE E CAMBIAMENTO PSICO-EMOTIVO: prevalenza di emozioni ritenute “negative” dettate dall’ incertezza del futuro e da sofferenza e vuoto intorno; allontanamento da tutto ciò che ci dava piacere fuori dalla porta di casa (contatto con l’altro, sport, lavoro, viaggi), alimentando noia e aggressività.
INDICAZIONI “TERAPEUTICHE”
“trovate le strategie migliori per far entrare il mondo a casa vostra senza che si muova nessuno…..e giorno dopo giorno costruire”
ORA IL PIACERE DEVE ENTRARE E FARCI COMPAGNIA come accoglierlo:
-Dedicate 10 MINUTI AL GIORNO a fare qualcosa che non avete mai fatto, fate spazio e lasciate entrare cose nuove.
-ATTIVITA’ FISICA almeno un’oretta al giorno per attivare, sentire e dare energia al nostro corpo e alla nostra mente, consiglio anche delle sessioni di meditazione per imparare piano piano a rivolgere uno sguardo dentro di voi arginando i pensieri esterni.
-ATTIVITA’ COGNITIVA : leggere, studiare, in modo leggero e con piacere introducendo informazioni nuove e stimolanti.Aggiornatevi attraverso webinar, corsi on-line, tutorial e cose simili.
-ATTIVITA’ RILASSANTI: disegnate, colorate, costruite e create con materiali di riciclo, non bisogna essere degli artisti per farlo, non è il risultato che conta, bensì il processo ed il coinvolgimento psico-emotivo;
*Ascoltate musica e ballateci insieme, fatevi travolgere dal ritmo.
*Guardate film anche che non rispecchino i vostri gusti e coglietene l’essenza.
*Cucinate per voi in primis, ma anche per i vostri familiari, riscoprendo il piacere degli odori, degli accostamenti di sapore e colore e soprattutto utilizzate cibi sani che possano sostenere il vostro equilibrio psicofisico.
*Accorciate le distanze e riempite i vuoti, date calore e amore usando tutti i mezzi a disposizione (videochiamate, chat, telefonate) per stare vicino ai vostri familiari, amici, conoscenti e non esitate a chiedere aiuto in momenti di fragilità, condividete le vostre debolezze con gli amici di sempre, sarete compresi e supportati.
-DEFINITE DEGLI OBIETTIVI: chi sono? Cosa voglio? Dove voglio andare? Magari avrete una visione più lucida in un tempo fermo.
DATEVI DELLE POSSIBILITA’, LE IDEE NASCONO DALL’INATTIVITA’, UN GIORNO ALLA VOLTA, CONCENTRANDOSI NEL MOMENTO PRESENTE.
CONTINUIAMO AD EMOZIONARCI, ATTIVIAMO TUTTI I SENSI, SOLO COSÌ POTREMMO MANTENERCI VIVI, VITALI E PRONTI AD APRIRE LE PORTE ED ABBRACCIARE IL MONDO.
CHIEDERE AIUTO
Chiedere aiuto rappresenta un momento di crescita, uscite dal proprio guscio e bussate alla porta di uno specialista Psicologo/Psicoterapeuta senza vergogna né paura.
Egli vi accoglierà con ogni mezzo, sostenendo le vostre paure, accompagnandovi in un viaggio alla ricerca di quella chiave che aprirà la vostra porta permettendovi di uscire, respirare e vivere assaporandone i piaceri. Entrare in contatto stretto con noi e con le nostre emozioni e sensazioni, anche se spiacevoli, ci permette di toccare quelle parti di noi coperte dal fare, e rispolverarle significa riconoscere ed integrare parti di noi tenute nascoste per evitarne la paura del dolore. Non abbiate paura delle emozioni esse sono energia e carica anche se dolorose, diamogli voce, ascoltiamo quello che vogliono dirci e accogliamole, sono nostre….
Vi saluto con una citazione del filosofo J.P.Sartre da cui prende spunto il titolo di quest’articolo A PORTE CHIUSE “ l’inferno è fuori”
Aggiungo:
“…..il paradiso potremmo riscoprirlo dentro, diamoci questa possibilità”.
“Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno” M.L.KING
Non esistono emozioni positive o negative se vissute e sentite con il cuore.
Ogni tipo di emozione ci aiuta a vivere le situazioni nel modo più appropriato, per tanto, non bisogna ricacciarle o abusarne bensì viverle nella giusta maniera, non permettendo ai pensieri intrusivi e alla troppa razionalizzazione di invadere il nostro corpo rendendolo spurio.
Questa premessa per dire che la tanto temuta paura di situazioni pensate e previste, ma non reali, è fittizia ed immaginata, non realistica, che ci porta a vivere stati di ansia incompresi che, all’estremo sfociano in attacchi di panico i quali limitano il vivere e la libertà, portandoci a stare isolati con qualcosa che appare ingestibile, una perdita di controllo che spaventa alimentando la paura.
Questa consapevolezza ci impone di non perdere il contatto con noi stessi e, respirando, di spostare il focus attentivo sul nostro corpo per evitare alla mente di prendere il sopravvento.
Perché si raggiunga serenità e salute corpo, mente e anima devono raggiungere il giusto equilibrio il cui impulso primario origina nel cuore.
La paura di vivere non è altro che una fuga dal nostro corpo per non sentire le emozioni che sono vitali di qualsiasi tipo e colore esse siano.
L’intolleranza alla possibilità di provare paura atrofizza il pensiero rendendolo ossessivo e, limitando ed evitando ogni ipotetica fonte di pericolo, si rischia di alimentare il panico.
Questa situazione limita il raggio d’azione dell’individuo costretto ad una situazione di sofferenza, apparentemente immotivata che porta a pensieri e stati d’animo negativi, nonché pensieri ipocondriaci legati allo stato di salute. Pensare a cose negative ed essere completamente concentrato a percepire ogni segnale di paura dal proprio corpo significa chiudere i rapporti con l’esterno, attuando meccanismi di evitamento e abbassando il livello di autostima.
Una possibile via per vivere meglio sarebbe di accogliere le sensazioni di paura senza necessariamente volerle controllare o evitare ma percependole come possibili e, soprattutto gestibili.
LA PAURA
Il corpo tende al principio di piacere tenendosi lontano dal dolore e, la paura funge da campanello di allarme davanti ad un pericolo, interno o esterno, preparandoci a fronteggiarlo.
La paura è una emozione primaria, quindi essenziale per la sopravvivenza, che predispone il corpo ad evitare pericoli. Essa è una delle emozioni più antiche e riveste un importante valore adattivo legato alla nostra sicurezza e sopravvivenza. L’organismo valuta la gravità del pericolo che predispone l’allerta, un’attivazione psicofisica “arousal”, che caratterizza una reazione di emergenza. Per quanto una emozione che ci aiuta a superare ostacoli, viene spesso vista come qualcosa da eliminare perché attiva tutte la parti del corpo e diventa incontrollabile fino a sfociare nel terrore. Ed è proprio un’errata valutazione della realtà esterna che, collima con strutture nostre interne che porta l’individuo a viversi in simbiosi con questa emozione.
Un modo per vincere la paura è affrontare le situazioni con la paura, questo ci renderà forti.
DALLA PAURA ALL’ANSIA
Tensione, minaccia e pensieri intrusivi di pericolo portano ad evitare situazioni per controllare e gestire queste sensazioni negative disconnesse da stimoli precisi.
I sintomi tipici dell’ansia sono: sudorazione, tremolio, capogiri, vertigini e tachicardia dettati, spesso, da un’anticipazione infondata di un pericolo o di un evento negativo.
L’ansia si distingue dalla paura perché predispone ad un pericolo futuro reale o immaginato creando preoccupazione e apprensione. Utilizziamo questo stato di tensione come riserva di energia per affrontarle le situazioni future e non per prevederle. Un giusto grado di ansia ci permette di essere più attivi e performanti, per tanto, bisogna riuscire a trasformare questa energia in attività produttive che possano aumentare entusiasmo e autostima.
La creatività è la via giusta per arrivare ad autorealizzarsi.
Disturbo d’ansia generalizzato (DAG)
Esso è caratterizzato da ansia e preoccupazione, ingestibili ed eccessive, che dura almeno sei mesi per la maggior parte del giorno. I sintomi principali sono: irritabilità, tensione muscolare, alterazione del sonno, affaticamento, difficoltà di concentrazione, disturbi del comportamento alimentare che comportano una sofferenza psicosociale che si riverbera nelle relazioni e nell’ambiente lavorativo.
Disturbo d’ansia sociale (o Fobia Sociale)
Paura o ansia di situazioni in cui si è esposti al possibile giudizio degli altri, es. (parlare con altri, affrontare una conversazione, fare un esame, parlare in pubblico, eseguire una prestazione).
La paura è che possano essere evidenti i sintomi di ansia quindi andare incontro a possibili figuracce alle quali conseguono critiche e o giudizi.
…..VERSO L’ATTACCO DI PANICO
Inaspettato come un fulmine a ciel sereno, con durata massima di 20 minuti, che travolge la persona in sensazioni di catastrofi con conseguenti manifestazioni neurovegetative quali: sensazioni di asfissia, fastidio al petto, nausea, sbandamento e instabilità, paura di perdere il controllo, tachicardia, sudorazione, brividi, parestesia e paura di morire. Queste sensazioni accompagnano pensieri quali la paura di svenire, avere un infarto e o morire. Il temere e l’evitare l’attacco di panico attiva un circolo vizioso tale per cui si alimenta la possibilità che ricapiti, sfociando in un vero disturbo di panico e, semplici sensazioni, quali sonno, stress, stanchezza, etc. possono allertare l’organismo e prepararlo all’ attivazione di un pericolo inesistente.
Disturbo di panico
Una preoccupazione eccessiva, accompagnata da sintomi somatici e cognitivi quali: sudorazione, tremore, palpitazioni, dolore al petto, sensazione di soffocamento, nausea, vertigini, senso di spossatezza, confusione, brividi, vampate di calore, paura di svenire, impazzire o morire che, se durano per più di un mese, possono diventare un vero disturbo di panico.
Il pensiero ossessivo che i sintomi possano ritornare e compromettere la vita psicosociale, nonché l’evitamento e la restrizione relazionale e lavorativa perché si vive con il terrore di sentirsi male nei vari contesti, costringe l’individuo a rifugiarsi a casa, isolandosi, e a concentrarsi su ogni singolo segnale del corpo che possa riattivare l’attacco.
Le cause possono essere svariate, da una predisposizione genetica, a difficoltà professionali e personali, modelli educazionali, traumi, preoccupazione circa la propria salute o dei cari, che, se non affrontati, restano nascosti per poi riattivarsi inaspettatamente.
PAURA, ANSIA E PANICO COME USCIRNE?
Psicoterapia umanistica e bioenergetica
Ogni disturbo/disagio può diventare invalidante e coinvolgere la persona nel corpo, nella mente e nella vita socio-relazionale.
Un primo passo per alleggerire i sintomi è condividere il disagio con le persone vicine e/o con uno specialista di fiducia.
Inibendo costantemente dolore e rabbia si rischia di sentire solo la paura. L’inibizione di una emozione può manifestarsi in tanti modi e la memoria corporea la conserva trasformandola in tensione.
La terapia umanistica e bioenergetica, ad approccio psico-corporeo che integra corpo e mente, accoglie la persona aiutandola a riconoscere ed esprimere le proprie emozioni soffocate dandole voce e movimento in una relazione terapeutica basata sulla fiducia e sulla collaborazione e in un ambiente accogliente e protetto.
Ripristinare una relazione in un momento di ansia e tensione significa riprendere i rapporti con l’esterno, uscire dalla “gabbia” e tendere la braccia verso un’altra persona pronta ad accogliere e ad ascoltare.
All’origine di un senso di soffocamento ci potrebbe essere un urlo bloccato che crea un nodo rendendo instabile il respiro e creando formicolii, giramenti di testa, senso di soffocamento a causa di uno squilibrio tra anidride carbonica e ossigeno.
INDICAZIONI DA SEGUIRE:
- respirare 2-3 volte in una busta di carta per ripristinare il rapporto anidride carbonica-ossigeno e riportare uno stato di calma
- non perdere il contatto con la realtà quindi: togliere scarpe e calzini e sentire il contatto con la terra
-stingere le mani di qualcuno oppure poggiarle sulle pareti per non perdere il con-tatto con l’esterno
-mettersi davanti allo specchio in posizione comoda e guardarsi rallentando il respiro fino a riportare la calma
-condividere, senza vergognarsene, le sensazioni che si stanno provando permettendo all’altro di sostenerci e starci vicino
-contattare uno psicologo arrendendosi alle proprie fragilità.
Tutto ciò per evitare una derealizzazione ed una ulteriore chiusura e repressione delle emozioni che potrebbero alimentare lo stato di sofferenza.
Arrendersi al proprio corpo significa condividere, in terapia, l’espressione del corpo con il pianto o con la rabbia e della mente con le parole e i ricordi. I vissuti, repressi, che emergono in terapia vengono resi coscienti e si trova così l’origine di uno stato apparentemente immotivato.
Un percorso terapeutico che prevede un viaggio nei vissuti dell’infanzie e della giovinezza ed una reintegrazione di questi nella vita adulta.
Amare sé stessi e gli altri significa ammettere le proprie fragilità e arrendersi al proprio corpo e ai propri vissuti abbandonando il controllo e accettando il dolore per poter curare le ferite.
L’obbiettivo è di allontanare il senso di inadeguatezza e auto colpevolizzazione che non fanno altro che fossilizzarci nel sintomo e bloccarci nel tempo impedendoci di respirare e vivere.
L’ AMORE prescinde da ogni parola, si sente nel cuore e nel corpo, si respira si attende ci riempie di carica, bellezza ed energia, restituendoci ritmo e armoni.
Esso rappresenta una condizione essenziale dell’esistenza un bisogno fondamentale che riattiva parti di noi. Una tale forza è capace di travolgere piacevolmente ma anche di annullare la persona, andando incontro a vecchi fantasmi e ferite arcaiche non rimarginate.
Perché si possa vivere a pieno un amore, bisognerebbe aver fatto i conti con se stessi, aver vissuto la propria “solitudine” ed aver raggiunto un equilibrio altrimenti si vivrebbe un amore immaturo.
La dipendenza affettiva è uno stato di profonda insicurezza che spinge la persona a cercare negli altri supporto e sostegno. Le persone dipendenti tendono a ripetere le stesse relazioni con persone che richiamano le figure genitoriali in modo da compensare illusoriamente le eventuali mancanze, idealizzando e investendo troppo nell’altro.
Questo porta la persona a non attingere dalle proprie risorse interne, bensì a cercare sostegno negli altri, adattandosi e spersonalizzandosi pur di non rischiare di perdere l’oggetto d’amore.
Questa forma patologica di amore detta dipendenza affettiva crea legami squilibrati, caratterizzati da aspettative, bisogno di sicurezza e di continue dimostrazioni di affetto per riempire i propri vuoti affettivi. Una difficoltà relazionale che impedisce di viversi intimamente un rapporto per paura di essere abbandonati e non voluti. Una forma di sottomissione per essere accettati e “amati” soffocando ogni interesse individuale per occuparsi dell’altro.
La dipendenza affettiva origina dal rapporto con i genitori durante l’infanzia quando i veri bisogni del bambino non erano adeguatamente visti e soddisfatti e i bisogni emotivi trascurati e da qui la necessita di cercare nutrimento negli altri. Ma anche cure eccessive e apprensione impediscono al bambino di sentirsi sicuro ed efficace per tanto bisognoso dell’altro.
Ciò crea un nucleo debole una percezione d’inadeguatezza, problemi di autonomia e una bassa autostima. Una mancata sintonia tra richieste del bambino e risposte del genitore potrebbe comportare un’immagine negativa di sé, come non degno di attenzioni e riconoscimenti.
La persona dipendente spesso si percepisce come non meritevole d’amore, questo, pur di stare vicino a qualcuno, la condurrà tra le braccia di persone problematiche e, spesso, anaffettive, che creano uno stato di tensione continua.
Il bisogno dell’altro per colmare dei vuoti non fa altro che creare relazioni “tossiche” lontane da relazioni profonde e intime, accettando anche abusi e violenze.
L’amore così diventa un riempitivo di vuoti lasciati durante la crescita che crea uno stato di tossicità dovuto alla paura di essere abbandonati e di non riuscire a vivere da soli perché inefficienti. Si cerca la felicità negli altri pur di sentirsi visto e considerato creando così uno stato di non esistenza.
La dipendenza emotiva riguarda principalmente le donne, compare nella prima età adulta e si presenta in vari contesti, matrice di base è il bisogno di essere accuditi che crea sottomissione e timore dell’abbandono.
Caratteristiche tipiche sono:
Spesso il problema risiede nel non riconoscersi dipendenti perché si crede e si conosce quella forma di sottomissione come unica forma di amore, o meglio, di relazione. Altre situazioni vedono la speranza che qualcosa cambi come unico obiettivo per andare avanti. Il cambiamento inizia proprio quando si sperimenta uno stato di disperazione, di malessere, di contatto con se stessi e con i reali bisogni e desideri.
Questo è il primo passo che conduce a chiedere aiuto e iniziare un percorso psicologico di cambiamento per arrivare a viversi relazioni appaganti. Attraverso un rivivere le situazioni e i vuoti affettivi che hanno accompagnato la storia di vita della persona si riesce a leggere la realtà in modo più chiaro e da qui intraprendere, coraggiosamente, un cambiamento nel modo di sentire, pensare ed agire.
Questo non farà altro che spostare il focus sulla persona portandola a ricercare piacere nelle cose e nelle persone tale da aumentare autostima e voglia di vivere.
Un setting accogliente ed un ascolto empatico riescono a far leva sulle risorse della persona, spesso, coperte dalla paura. Una paura che blocca, che ci fa accontentare di situazioni “scomode” pur di non farci vedere e sentire.
Un’esistenza vissuta all’ombra per paura di essere giudicati, non accettati e abbandonati.
Una terapia che ricerca il potenziale umano positivo verso una buona consapevolezza di sé. Analizzando quello che si è e si vuole veramente in modo da aggiungere, con i propri tempi, esperienze positive, accrescere autostima e migliorare l’immagine di sé.
Obiettivo principale è capire che si può avere una vita migliore e meritare di meglio se solo si affrontano e si sciolgono i nodi emotivi che ci bloccano.
Attraverso il corpo è possibile individuare i blocchi energetici, ovvero le emozioni represse e o traumi subiti che ci hanno costretto a difenderci. La Bioenergetica è una tecnica che permette d’individuare questi blocchi e di abbandonarli attraverso esercizi appropriati, ristabilendo equilibrio energetico, donandoci colore, forma e movimento. Dare voce e movimento a emozioni sopite e favorirne la libera espressione per liberare corpo e mente da tensioni e risvegliare il piacere di vivere, l’armonia e il benessere.
Sentire e ascoltare il proprio cuore arginando le troppe razionalizzazioni e intrusioni esterne. Viversi il presente e prendersi cura di sé e del proprio corpo martoriato dal peso di un passato invadente e di un futuro incerto.
Il percorso psicoterapico inizia con la consapevolezza di sé e dei propri modelli comportamentali, procede con la richiesta di aiuto e la reale motivazione al cambiamento e si concretizza con il recupero di nuove modalità di pensiero e di azione.
Gli obiettivo di questo percorso di “crescita” sono:
Attraverso un lavoro fatto sulle emozioni in una relazione terapeutica rassicurante che orienta verso l’amor proprio, base essenziale per amare l’altro, valorizzandone le risorse, interessi e qualità che guidano verso un principio di autorealizzazione per una crescita personale.
Liberarsi da vecchi modelli relazionali ci rende liberi e indipendenti.
Desideri maggiori informazioni sulla dipendenza affettiva o vuoi maggiori informazioni? Contattami, sarò lieta di riceverti nei miei studi di Roma.
"La solitudine è ascoltare il rumore del vento e non poterlo raccontare a nessuno”
Un vuoto da riempire con cose, persone, luoghi comuni e conosciuti, una sorta di rete di protezione che apparentemente non ti fa sentire da sola ma che, in realtà, allontana da rapporti importanti e significativi, svuotandoli d’intimità.
Per sfuggire a se stessi, ci si rifugia in relazioni insoddisfacenti evitando d’incontrarsi.
La solitudine prescinde dal rumore o dal silenzio, è uno stato che accompagna l’essere umano e può essere vissuto in molti modi.
Spesso lo si vive con paura, e, per non sentirsi “soli”, ci si nasconde dietro gli altri creando una rete esterna ma non interna, lasciandoci profondamente da soli. Abbandonare gli schemi ci fa sentire squilibrati, soli e quindi tendiamo ad occupare spazi per non perdere niente, evitando uno squilibrio ma perdendo di vista l’obiettivo e la direzione. La paura della follia crea atteggiamento folli che ci allontanano dalla nostra essenza creando dipendenze. “Allora vuol dire che l’individuo ha deciso di essere sempre meno protagonista e sempre più spettatore della proprio esistenza” (A. Lo Iacono).
In realtà non si può avere paura di qualcosa che non esiste, di un vuoto, e sarebbe importante individuare i nodi, ovvero le situazioni in cui ci siamo incastrati, per essere consapevoli del tono della nostra solitudine se, e fino a che punto, è disabitata o troppo affollata.
Le troppe parole, generando rumore, riempiono e proteggono ma è nel silenzio che si crea l’intervallo giusto per sentire e riflettere in una comunicazione non verbale autentica.
Questi atteggiamenti ossessivi, attuati per riempire un vuoto che non si conosce, svuotano ulteriormente, aumentando le difese e indurendo le armature caratteriali che ci isolano dalla realtà.
Il grande paradosso è che ci difendiamo da qualcosa che non conosciamo, dalla paura della paura di vivere e sentire che crea auto-emarginazione.
‘Cadere nell’abisso della propria solitudine è la fine e l’inizio di ogni cambiamento radicale……’ ( A. Lo Iacono).
La solitudine non è necessariamente stare da soli, ma è uno stato che riflette la vita emotiva e che struttura il carattere partendo dalle cure genitoriali. Le fobie legate alle relazioni aumentano, si combatte tra un voler stare da soli e il bisogno degli altri, la paura di stare da soli e il bisogno di una base, apparentemente, sicura, questo equilibrio squilibrato ci rende folli allontanandoci dalla libertà che tanto bramiamo. La libertà diventa un qualcosa di irraggiungibile, se non riusciamo a dedicare tempo all’intervallo, a noi stessi, solo così si possono costruire dei sani rapporti liberi, senza incastri emotivi.
Questa piccola grande rivoluzione parte da noi stessi, dal nostro corpo troppo a lungo corazzato e difeso. Abbassiamo questo scudo e cerchiamo di contattarci concedendoci di vedere e sentire in modo diverso, nuovo. Liberare il corpo, rallentare il ritmo, respirare in modo profondo e muoversi seguendo i veri bisogni. Un movimento dettato, non dalla caoticità e dal fare ossessivo per riempire, ma da un senso di libertà, dove il tempo non è più tempo e dove i rapporti diventano silenziosamente pieni e il nostro vuoto più leggero. Non si può avere paura di qualcosa che non conosciamo…
“Degli uomini”, disse il Piccolo Principe, “coltivano cinquemila rose nello stesso giardino… e non trovano quello che cercano” “E tuttavia quello che cercano potrebbe essere trovato in una sola rosa o in un po’ d’acqua”… “Ma gli occhi sono ciechi. Bisogna cercare col cuore “
(Saint-Exupéry, 1943, pag. 108).
La solitudine ci accompagna ineliminabilmente per tutta la vita e, se vissuta profondamente, può diventare la strada maestra che conduce all’interiorità e all’autonomia.
La creatività come modo per esprimere un mondo interiore diventa l’espressione che ci dà la possibilità di incontrare e sviluppare le nostre attitudini permettendoci di portare all’esterno una parte di noi.
Costruire un momento di solitudine e di silenzio aiuta la persona a ritrovare se stesso nel mare della vita. L’anelito di questo momento permette di dare significato alla vita, alle emozioni quotidiane. Il saper star soli, rappresenta una preziosa risorsa.
In ogni fase della vita ogni cambiamento può farci sentire soli, il distacco dalla mamma nel primo anno di vita, le grandi trasformazioni fisiche ed emotive nell’adolescenza, accompagnate da una scarsa autostima, le vicissitudini di vita che accompagnano fino alla vecchiaia, dove, spesso, la solitudine diventa un passaggio inevitabile, fasi di vita che sottolineano la consapevolezza delle possibili assenze.
In una società precaria, dove il consumismo ne è un fattore costituente, si vive di cose veloci e facilmente intercambiabili, dove profonde crisi politiche, economiche e morali deprivano i valori di essenza, l’uomo si sente sempre più solo e impotente in una vertigine di situazioni che ruotano troppo velocemente. Viviamo in una società adolescenziale e borderline che ci trascina in uno stato regressivo e ci fa rivivere traumi infantili mettendoci costantemente alla prova.
Il non sapere chi si è, cosa si vuole e l’incertezza del futuro conduce alla paura di vivere “la gabbia della solitudine esistenziale”.
“C’è bisogno di una piccola rivoluzione per cambiare, per vedere quello che prima era coperto. Guardare in modo nuovo, camminare in una maniera diversa, ascoltare differentemente, sentire cose nuove.” ( Antonio Lo Iacono)
Dalla solitudine non si può uscire, ma si può assegnarle un significato, le si può dare un colore e un tono, la si può abitare e scoprire uno spazio nostro dove entrare in contatto con noi stessi, darci valore, ascoltare in silenzio la voce del nostro corpo e darle importanza perché è la voce del cuore.
Ci si può sentire soli anche in mezzo ad un milione di persone, nel rumore che diventa silenzioso o nel silenzio che diventa rumoroso, assordante e insopportabile.
Ma proprio il silenzio, quello riflessivo dà senso alle parole e le riempie. Si teme il silenzio perché è indefinito e incontrollabile, tutto ciò che non si conosce spaventa.
Nella situazione terapeutica, spesso, il silenzio del terapeuta rappresenta un ascolto attivo, empatico, che dona al paziente tutto il tempo per esporre e arricchire i propri racconti o, semplicemente, per pensare in un tempo e in uno spazio suo in grado di attenderlo.
Una comunicazione non verbale è emotivamente più coinvolgente. Uno spazio che prepara la parola, che ascolta, che accoglie senza pregiudizi, secondo un ritmo più profondo e una forma di comunicazione e ascolto interiore.
Un intervallo che fa parte della comunicazione, ne dosa il ritmo e il movimento.
La terapia diventa così uno spazio nuovo, incontaminato, dove provare a contattarsi, a sentire il proprio respiro e le sensazioni sottostanti, dove poter incontrare lo sguardo accogliente di qualcuno pronto ad ascoltare empaticamente e senza fretta i nostri reali bisogni e desideri. Un incontro reale, pulito e sincero dove non bisogna dire o fare per pressione esterna ma solo per risonanza emotiva.
Nella frenetica quotidianità manca la capacità di ascoltarsi e ascoltare l’altro. Se non vi sono, infatti, momenti di pausa o di riflessione diviene difficile ascoltare e elaborare quanto percepito. Praticare il silenzio interiore permette di contattare la nostra intimità, far crescere la consapevolezza di ciò che pensiamo, sentiamo e desideriamo.
Contattare noi stessi ci permette di sintonizzarci con gli altri.
Un vuoto, un bisogno di essere riconosciuti, la paura di essere abbandonati e di sentirsi soli, l’incertezza del futuro e l’inconsistenza del presente, sono prerogative di rapporti inconsistenti, d’incastri patologici e di una forte resistenza alla separazione.
Attraverso un percorso terapeutico si cerca di ricentrare la persona e rinforzarla in modo da farle vivere il presente, aumentando la voglia di vivere e restituendo rapporti interpersonali gratificanti. Non trovare tempo per la propria solitudine significa non trovare tempo per se stessi. Allentare le resistenze e abbandonarsi alla propria solitudine significa avviare un processo di cambiamento tanto più doloroso quanti sono i nostri conflitti interiori.
Superare la solitudine come senso di vuoto significa non avere paura di confrontarsi con l’altro, aprirsi allo scambio, arricchirsi, non nascondersi dietro gli altri creando un esercito di uomini timorosi e, fondamentalmente, soli. Avviare un cambiamento di vita significa iniziare a muoversi diversamente, spostando una pedina il gioco cambia.
Nel dolore del cambiamento si apre lo spiraglio del pensiero, del rinnovamento, della ridefinizione degli obiettivi e delle possibili strade da prendere. Ogni cosa ha bisogno di tempo e condizioni favorevoli per maturare.
Non esiste creatività artistica senza concentrazione e isolamento, un viaggio dentro di sé alla scoperta di sentimenti da esternare attraverso l’arte.
“Senza una grande solitudine nessun serio lavoro è possibile”( Pablo Picasso)
L’arte è la voce della nostra solitudine dove pensiero ed emozioni s’incontrano senza filtri e condizionamenti sociali. La solitudine deve essere vista come opportunità per crescere, una connessione interiore per decidere autonomamente la strada da prendere e scegliere le persone che ci fanno stare realmente bene.
Una strada capace di migliorare la capacità cognitiva e aumentare l’armonia emotiva. La capacità di sconnettersi da tutto e tutti rende le persone libere e creative. Una pausa dal mondo come momento di raccoglimento con i propri pensieri.
Solitudine, cambiamento, creatività e libertà sono obiettivi lontani in un mondo che ci rema contro, che ci abbindola, che ci illude, falsi miti e credenze ci portano spesso fuori strada, ma se restringiamo il campo, riuscendo a liberarci dai tanti condizionamenti riusciremmo a vivere.
Per cambiare è necessario rieducare le persone alla solitudine come strumento che permette di realizzare un vero incontro con il proprio sé, far germogliare le emozioni e ridare valore al silenzio come atto preparatorio al comunicare con gli altri. Una solitudine feconda, che non sia isolamento, e che non può prescindere dalla relazione con l’altro.
La mente deve saper trovare la strada che conduce alla felicità, liberando il corpo martoriato dalla paura e restituendo movimento, piacere e vitalità.
” solo gli individui per i quali la vita ancora, nonostante la bar-barie, continua ad avere un senso possono sopravvivere......muore chi non ha più fede nella vita”
La depressione può essere una condizione “normale” di risposta ad alcuni stimoli oppure una condizione “patologica” quando interfe-risce e si scontra con lo svolgimento, in ogni area, della vita quotidiana. Il depresso, infatti, ha perso la capacità di rispondere alle situazioni di vita e la speranza di poter avere la “forza” e “l'energia” per reagire ed avviare un cambiamento.La depressione è una malattia caratterizzata da un calo dell’umore accompagnato da diminuzione di interesse o piacere per quasi tutte le attività. Uno stato depressivo grave si manifesta con pianto, pensieri ricorrenti di morte, un profondo pessimismo sul futuro, deprivazione di sonno, insoddisfazione generale, irritabilità, indecisione, confusione, una vita faticosa da affrontare e priva di senso. Questo quadro sintomatologico, spesso, porta ad un ritiro sociale con conseguente perdita di lavoro.
Nell'approccio bioenergetico, fu per primo W. Reich (Reich, 1955) a descrivere la depressione con il termine di “atrofia biopatica” per indicare l’indebolimento dell’apparato vivente fino ad arrivare ad una situazione di collasso energetico psico-fisico, perdita della forza interna che non risponde agli stimoli dell’ambiente perché arriva ad avere una carica energetica troppo bassa. La depressione è “morire dentro”, emotivamente e psicologicamente.
Un io alterato, che ammazza il corpo perché non ha rispecchiato ad honoris la sua immagine, che non abita più il corpo, una forma di non esistenza. Per descrivere la personalità dei pazienti depressi, A. Lowen riferisce alcune difficoltà tipiche: la mancanza di “grounding”ovvero di radicamento nella vita reale che induce fatica a rapportarsi con il corpo e il corpo a rapportarsi con l'ambiente esterno. Lowen afferma che il paziente depresso ha perso la fede in sé non ha più fiducia nella vita e presenta difficoltà di apertura verso di essa e verso il futuro.
La Fede, come espressione di forza vitale, può essere intesa anche come caratteristica dell’essere in contatto con se stesso, nel proprio corpo, nella propria natura, con la vita e con la terra.
La terapia bioenergetica punta a fa riacquistare all’individuo la fede in sè stesso facendolo divenire una persona autodiretta, diretta dall’interno, dal suo centro. Partendo dalle sensazioni che provengono dal corpo, dalle emozioni e dai sentimenti in esso depositati, è possibile ristabilirne il contatto perduto e orientare il soggetto in direzione del Sé, nel fluire esperienziale ed emozionale del tempo. Evidente nel corpo di una persona depressa è la scarsa vitalità; la motilità e la respirazione sono fortemente ridotte.
L'io vince sul corpo, la razionalità e la rimuginazione vincono sul vivere pulsante del presente. La vita del corpo che è vita nel presente, è respinta ed è avvertita come irrilevante o come dolorosa e piena di sofferenze. Un organismo dotato di poca energia possiede un minor livello di eccitazione interna, si muove con fatica, è meno pronto nel rispondere alle richieste dell’ambiente, ha una carica ridotta che riduce la connessione con il sentire interiore, un modo per reprimere i sentimenti e per evitare il dolore.
La depressione è “morire dentro”, emotivamente e psicologicamente. Secondo il modello loweniano, l’espressione del disappunto, dell’ostilità, della rabbia per una perdita avvenuta (di qualsiasi tipo essa sia) è utile all’individuo per elaborare in modo appropriato la sua condizione interiore di sofferenza e di lutto. Elaborare un lutto o una condizione di sofferenza estrema è concedersi l’espressione di un sentimento che potrà consentire alla vita di procedere. Altrimenti questo viene trattenuto e il flusso della vita subirà tensioni e limitazioni che potranno portare l’individuo alla depressione.
Attraverso colloqui clinici fondati su un ascolto empatico ed, eventualmente, esercizi psicocorporei di “contatto con se stessi, sarà possibile consapevolizzare il paziente su come il suo vissuto depressivo influenzi la personalità, liberando emozioni e sentimenti repressi.
Nella relazione terapeutica con pazienti depressi si dovrà ristabilire in loro la progettualità esistenziale e far sviluppare la capacità di provare piacere. Mobilitare il respiro è un primo momento di contatto con il proprio corpo, attivando la respirazione diaframmatico-pelvica proprio al fine di riattivare la funzione respiratoria, che agisce da “carica energetica”.
Nelle persone depresse, secondo Lowen, la volontà non può aiutarle a ritrovare l’equilibrio, esse piuttosto hanno bisogno di essere dirette nella ricerca attiva del piacere che nella loro vita hanno perso, aiutandole ad ascoltare il proprio corpo, un corpo probabilmente rigido e teso. Molti depressi, prima di cadere in questo stato, erano persone che lavoravano in modo compulsivo.
Proprio questo modo di agire meccanico, in cui il soggetto non trova alcun piacere, ma in cui si impegna spesso per “senso del dovere” diventa il ricettacolo in cui vanno a finire lentamente tutte le energie del soggetto. Quest'ultimo quindi rimane svuotato ed inaridito dal di dentro. ll soggetto non trova soddisfazione in ciò che fa di per sé, ma nella sua riuscita come lavoratore; la stima che ha di sé si basa esclusivamente sulle sue capacità lavorative e non nel suo esistere in quanto persona. Per questo le sue riserve vitali vengono esaurite nello sforzo di mantenere un’immagine che è focalizzata sugli altri. Manca il piacere, la motivazione a muoversi, in senso sia fisico che psicologico, verso delle mete e degli obbiettivi.
Si viene così a formare un circolo vizioso in cui l’azione meccanica non dà piacere e genera mancanza di motivazione a muoversi e questa a sua volta impedisce di agire con soddisfazione perseguendo degli obbiettivi. Così facendo il livello energetico dell’organismo diminuisce. La terapia bioenergetica è finalizzata pertanto a scoprire i traumi che hanno “bloccato” l’individuo, spingendolo ad agire in modo puramente meccanico e aiutarlo a ristrutturare la propria identità in un nuovo modo più funzionale.
Lavorare sul corpo facilita proprio il ricordo delle memorie rimosse e dei sentimenti repressi del paziente, al fine di ristabilire in loro la progettualità esistenziale, sviluppando la capacità di provare piacere e recuperare la varietà delle emozioni che aveva perduto.Il vantaggio della terapia bioenergetica sta nell’affiancare all'ap-proccio psicanalitico un lavoro sul corpo che permette di implementarne l’efficacia agendo direttamente sul livello energetico del soggetto, il cui calo ha scatenato la patologia.
L'umore è lo stato emozionale ossia, l'insieme delle disposizioni affettive e istintive che determinano il tono prevalente dell'attività psichica. Uno stato emozionale che, se non ben equilibrato, può condizionare la vita dell'individuo in termini affettivi, cognitivi e comportamentali.
L'umore, come tono dello stato d'animo, si distribuisce lungo un “asse emotivo” ai cui estremi opposti troviamo la tristezza e l'euforia. Esso è influenzato da eventi esterni e/o interni ed è modulato da complessi meccanismi biologici dipendenti dal sistema limbico deputato ad arricchire con la componente emozionale le informazioni cognitive elaborate dalla neocorteccia. L'umore fluttua costantemente modificando cognizioni, emozioni ed energia.
Quando l'umore si modifica in maniera persistente e accentuata dando luogo a sofferenza psichica e fisica che si ripercuote sul comportamento abituale creando difficoltà adattive si può palare di disturbo dell'umore che si manifesta con una sofferenza più accentuate e duratura e/o con un'euforia troppo accesa tanto da compromettere le esperienze vissute, la percezione della realtà, del tempo, dello spazio, l'energia, il sonno, gli istinti e le normali funzioni sociali e lavorative della persona. Quello che caratterizza tutti i disturbi dell’umore è un quadro emotivo intenso, come profonda depressione o eccessiva euforia.
Le alterazioni del tono dell’umore sono principalmente:
Alcune persone sviluppano la tendenza a presentare un tono d’umore basso alternato a momenti di eutonia (umore in equilibrio) e si parla quindi di depressioni unipolari . Altri sviluppano invece un disturbo in cui si alternano momenti di depressione e momenti di mania (o ipomania). In questi casi si parla di bipolare o depressioni bipolari.I disturbi dell’umore sono molto frequenti nella popolazione rispetto ad altre patologie o disturbi psichiatrici.
Il disturbo depressivo maggiore è il disturbo dell’umore più conosciuto e maggiormente diffuso soprattutto nella cultura occidentale è seconda solamente ai disturbi d’ansia e colpisce quindi una larga parte della popolazione mondiale.
Il disturbo bipolare, prima conosciuto come malattia maniaco depressiva o come psicosi maniaco depressiva, è un disturbo caratterizzato da oscillazioni insolite del tono dell’umore, nel livello di energia, nei pensieri che inficia la capacità di funzionamento della persona, compromettendone lo stile di vita. Nel disturbo bipolare il sistema limbico non funziona correttamente e questo fa sì che il tono dell’umore diventi variabile, instabile indipendentemente dalle circostanze esterne.
Il disturbo bipolare è caratterizzato, infatti, dall’alternanza di uno stato depressivo e di uno maniacale (o ipomaniacale); quando c’è una compresenza di sintomi depressivi e sintomi maniacali con il predominio di irritabilità, ansia e irrequietezza, si può presentare lo stato misto. il disturbo bipolare, nelle sue manifestazioni più severe, può rovinare rapporti interpersonali, causare la perdita del lavoro e, in casi estremi, esitare in comportamenti suicidari. Questa malattia è totalmente compatibile con una vita normale e produttiva, ma le cure cui ci si sottopone durano per lungo tempo. Di solito questo disturbo si manifesta per la prima volta prima dei 30 anni e il primo episodio può essere sia maniacale che misto.
E’ leggermente più frequente nelle donne. Tendenzialmente le fasi depressive durano di più nel tempo, mentre le fasi maniacali o ipomaniacali durano meno (da una settimana a poco più di un mese). Il passaggio tra queste due fasi può essere relativamente lungo, consentendo al paziente un periodo di benessere, oppure può essere repentina
Il disturbo bipolare è una malattia ereditaria che possiede una base biologica e viene trasmessa geneticamente. Il primo episodio maniacale-depressivo si verifica in età adolescenziale o nella prima età adulta. I sintomi possono, inizialmente presentarsi lievi e poco chiari, per tanto diventa difficile fare una diagnosi tempestiva. I fattori, psicologici e ambientali, coinvolti nello sviluppo del disturbo si chiamano triggers e possono peggiorare sintomi pre-esistenti o scatenare nuovi episodi di mania o depressione.
Alcuni fattori, come stress, abuso di sostanze, farmaci, cambiamenti di stagione, deprivazioni di sonno, possano scatenare o aggravare il disturbo, ma non causarlo. La malattia bipolare infine è cronica ma con i trattamenti psicofarmacologici adeguati il soggetto può essere mantenuto compensato grazie ad una terapia adeguata raggiungendo un ottimo livello di stabilizzazione della malattia e può condurre una vita normale. Il concetto importante per il trattamento di questa patologia è che non deve essere trattato l’episodio (depressivo o maniacale) ma deve essere trattata la malattia
In una persona affetta da disturbo bipolare, che vive nella confusione, in un continuo fluttuare tra stati d'animo che lo deprivano di un corretto funzionamento psico-fisico, il corpo diventa uno strumento essenziale di consapevolezza e lavoro. La Psicoterapia Umanistica pone la persona, in tutta la sua complessità e unicità al centro dell'attenzione, accogliendo e ascoltando empaticamente pensieri, emozioni e corpo. Un corpo teso e martoriato da stati emotivi opposti e contrastanti.
Corpo e anima in perenne confusione tra ciò che si sente e ciò che si vuole realmente sentire, tra ciò che si fa e ciò che si vorrebbe fare, vittime di impulsi controllati da sbalzi di umore incontrollabili, che sfociano in comportamenti disfunzionali e disadattivi che minano la vita psicofisica e relazionale della persona. Un'altalena di eccessi di parole, pensieri e agiti e all'opposto depressione e mancanza di energia.
Che sia acceso o spento il soggetto il compito del terapeuta sarà di connetterlo con se stesso nel qui ed ora, nel rumore o nel silenzio, con la parola o con il corpo. Un primo piccolo passo si fa attraverso l'accoglienza e l'ascolto empatico per consapevolizzare e sintonizzare il paziente con le proprie emozioni sensazioni e pensieri all'interno della relazione psicoterapeutica. Si cercherà di energizzare il paziente per caricarlo attraverso movimenti che includono respirazione e voce, rallentando i pensieri e le sensazioni relative, ripristinando, per quanto possibile un naturale flusso energetico, allo scopo di creare un equilibrio nel disequilibrio, grazie alla consapevolezza degli stati d'animo e al riconoscimento di se stessi come persone
La solitudine può essere vissuta come un senso di vuoto che ci accompagna a prescindere dalle condizioni esterne.
Un vuoto, un bisogno di essere riconosciuti, la paura di essere abbandonati, l'incertezza del futuro e l'inconsistenza del presente sono prerogative di rapporti inconsistenti, d'incastri patologici e di una forte resistenza alla separazione.
La paura di abbandonare ciò che si conosce, una base “apparentemente” sicura, ci fa vivere situazioni di disagio, di noia, di spersonalizzazione e relazioni prive di reale intimità.
Allentare le resistenze e abbandonarsi alla propria solitudine senza necessariamente colmarla significa avviare un processo di cambiamento. Superare la solitudine come senso di vuoto significa aprirsi realmente agli altri ed avviare un vero incontro con se stessi essa.
“Senza una grande solitudine nessun serio lavoro è possibile” (Pablo Picasso)